Davide Pizzi
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Ben poche notizie si hanno riguardo alle vicende che presiedettero alla sua fondazione.
Il 24 agosto 1237, Rainerio del fu Belluccio lasciò al romitorio di Santa Maria di Parrana (così viene citata la Sambuca prima dell'anno 1317) la metà “pro indiviso” di tutte le terre colte, incolte, vigne, olivi ed alberi che egli possedeva, prima attestazione che la comunità presente nell'eremo di Parrana nel corso del Duecento era dotata di una sua organizzazione inserita in una struttura non aliena dalla costituzione di un patrimonio fondiario sulle colline livornesi.
Un atto datato 19 febbraio 1267 fornisce un altro tipo di informazione: il romitorio dipendeva dal monastero di San Paolo in Ripa d'Arno.
Dagli anni settanta del XIII secolo le fonti tacciono fino al secondo decennio del Trecento.
Quando nel 1317 le fonti tornano a parlare del romitorio, risulta che il padrone per la quarta parte “sive pro maiori” era il conte di Castagneto Duccio del fu Gualando. È in questo documento che si incontra per la prima volta il nome di Santa Maria della Sambuca.
Poiché sia la chiesa che l'eremo risultavano in stato di abbandono, gli eremiti agostiniani dovevano essersene allontanati in seguito alle vicende belliche.
Non esistono altre fonti capaci di darci notizie intorno a questi frati. È certo comunque che nel corso del XIV secolo essi dovettero allontanarsi, poiché nel 1375 vi erano i seguaci del Beato Giovanni Colombini da Siena, fondatore dell'ordine dei Gesuati.
Al Colombini, morto proprio in quell'anno, successe certo padre Girolamo. Fu proprio quest'ultimo che diede incarico a due dei suoi più attivi religiosi, Luca della Terina e Michele da Firenze, di edificare un convento tra le pendici dei monti livornesi. Un alone di leggenda circonda il luogo e i primi gesuati che vennero a dimorare nella valle dell'Ugione, ne sono testimonianza le varie agiografie ambientate alla Sambuca, dove Satana che puntualmente si presentava al cospetto dei frati per indurli in tentazione viene allontanato dalla forza della fede.
Con il 1442 l'arcivescovo di Pisa Giuliano Ricci, durante una visita ufficiale a Montenero, che versava in condizioni disastrose per una gestione “scempia” di non meglio precisati frati, ebbe modo di visitare e trattenersi nel cenobio di Parrana. L'Arcivescovo constatò la loro capacità nell'amministrazione dei beni ricevendone particolari garanzie, se nel giro di un anno decise di affidare agli stessi la cura del monastero montenerese e dei suoi possedimenti. Da questo momento, per più di due secoli, le economie di Sambuca e Montenero verranno gestite dalla compagnia dei Gesuati.
Cosa accadde all'eremo nei primi anni del Seicento non è dato sapere, di certo ci fu un periodo di forte recessione e degrado delle strutture dopo che i Gesuati furono soppressi con bolla papale nel 1668 da Clemente IX.
Il primo a rivestire il nuovo incarico dal 1669 sarà un ex-Gesuato, il senese Silvio Piccolomini, che rimarrà alla Sambuca fino al 1694. A lui fu affidato l'incarico gravoso delle ristrutturazioni e di tutti i lavori necessari a ristabilire le sorti di un patrimonio decaduto.
Nel 1830 con un regio decreto: il nobile Michele Tonci ne diviene il legittimo proprietario.
Nel 1842 il convento passa in proprietà del dottor Vincenzo Mangani.
Nel 1910 il romitorio passa nelle mani del sig. Cipriani.
Nel 1912 la Sambuca viene dichiarata monumento nazionale e, nel giro di un anno, completamente restaurata e riaperta alle officiature festive. Nel 1928 sarà acquistata dall'ultimo proprietario privato, il sig. Benini, che ne manterrà il possesso fino agli anni cinquanta quando la rileverà il Demanio.
Da questo momento però il declino assume i connotati palesi dell'abbandono. Il convento sarà oggetto di ripetuti saccheggi degli arredi interni, fino ad essere ridotto alle sole mura perimetrali. Negli ultimi venti anni si è cercato con alcuni interventi (è stato ricostruito ex novo il tetto nel 1983 da parte del genio civile di Livorno e nel 1994 è stata restaurata l'ala del convento che ospitava la cappella) di evitare la necrosi.